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L’ultima abitante di Villa Omodei: "Il grande orto e il profumo di pane. Da bimba il giardino era il mio regno"

L’ultima abitante di Villa Omodei: "Il grande orto e il profumo di pane. Da bimba il giardino era il mio regno"

7 giu 2025

Cusano, Adele Carones ha ricostruito la storia del palazzo: tra memorie di famiglia e nostalgia "Davanti a casa c’era il prestinaio: non ho mai più sentito quel profumo di pane appena sfornato" .
Cusano, Adele Carones ha ricostruito la storia del palazzo: tra memorie di famiglia e nostalgia "Davanti a casa c’era il prestinaio: non ho mai più sentito quel profumo di pane appena sfornato" .

Cusano, Adele Carones ha ricostruito la storia del palazzo: tra memorie di famiglia e nostalgia "Davanti a casa c’era il prestinaio: non ho mai più sentito quel profumo di pane appena sfornato" .

Il 25 gennaio 1842 Carolina Carones Zucchi muore senza figli, lasciando i terreni rimasti e palazzo Omodei al suo primo nipote, l’ingegner Giovanni Domenico Carones. Lui vende gli appezzamenti per pagare le tasse di successione e ne regala altri al Comune di Cusano per l’allargamento di alcune strade, tra cui corso Matteotti. Inizia così la storia dei Carones proprietari dell’edificio nobiliare del 1600 simbolo della città. Adele "Dede" Maria Carones è stata l’ultima inquilina di quell’inedito palazzo, abitato da una variegata umanità e già all’epoca in rovina. Bambina tra sfollati, soffitti cassettonati e affreschi, coperti dai teli da nonno Carlo per salvarli. È il 25 giugno 1937 quando muore il grande finanziatore della famiglia Carones, il bisnonno Giovanni Domenico, lasciando moglie e 7 figli. In una postilla del testamento assegna quello che era rimasto delle terre di Cusano, Cinisello, Paderno e il Palazzo Omodei ai nipoti Giuseppe, Giancarlo, Luisa e Maria Pia e solo l’usufrutto al figlio Carlo. "Al bisnonno non è mai interessato perché già possedeva una tenuta agricola e un grande palazzo a Corbetta, progettato dall’architetto Francesco Croce, quello della guglia della Madonnina del Duomo. Il palazzo fu abbandonato a se stesso e in un certo periodo affittato all’istituto di Mombello, occupato da alcuni pazienti fino al 1910 – racconta Dede -. Io però ringrazierò sempre la prozia Carolina per averglielo lasciato: senza di lei mio padre non avrebbe avuto due locali per iniziare la sua attività. Senza di lei io, i miei fratelli e i miei cugini non avremmo potuto usufruire di poche stanze con servizi e di uno splendido giardino per passare con spensieratezza le estati". È il padre di Adele a diventare l’amministratore dell’eredità del bisnonno. "Papà lavorava come disegnatore in una grossa azienda, era geometra. Poi restò senza lavoro, aveva già famiglia. Mamma era orfana e dopo la laurea aveva iniziato a insegnare lettere. Papà aprì la sua azienda, la Carones Arredamenti, partendo da una falegnameria nella villa e fu la sua fortuna. Era talmente generoso che avrebbe regalato mobili a tutti. Allora mamma mollò l’insegnamento e iniziò a fare la ragioniera della ditta. Lavorarono anche con Bruno Munari". Nonno Carlo usufruttuario continuava ad affittare a poco pezzo i locali del palazzo e delle palazzine limitrofe. "Aveva venduto tutti i terreni e gli unici redditi che percepiva erano gli affitti di Cusano. Noi avevamo una cucina, un soggiorno dove stavamo io e mia sorella e poi un’altra stanza dove stavano i fratelli. Nei periodi di difficoltà, passavamo qui le vacanze. Nel resto dell’edificio abitava altra gente. Noi bambini vedevamo la turca sulle scale, il bagno nel catino, le tende che separavano le stanze. Il giardino era il nostro regno. Avevamo due arnie di api. Poi c’era la montagnetta dove mamma aveva seminato le carote e un miniorto". Fino al 1964 i Carones hanno passato giugno e luglio a Cusano. "Accanto c’era il grande orto di Dante, l’ortolano del paese, che aveva preso in affitto l’appezzamento dal nonno – ricorda la sorella maggiore Adriana -. In giardino c’era un cedro del Libano che bisognava stare in tre per abbracciarlo, tanto era grande, e un ginko biloba che era raro all’epoca. Abbiamo imparato lì ad andare in bici. C’era un fico altissimo in cortile: per raccogliere i frutti usavamo una latta attaccata alla pertica. La vecchia chiesetta dava sul Seveso e noi andavamo a vedere il colore dell’acqua come se fosse uno spettacolo della natura". E poi il gelataio Colombo che passava col suo carretto, Aliprandi che in bici portava il ghiaccio e il panettiere "dove la mattina andavamo a comprare le michette con la nostra moneta. Non ho mai più sentito quel profumo di pane appena sfornato".

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